Il risarcimento del danno causato dalla perdita dell’animale d’affezione
La recente sentenza del Tribunale di Prato (Sentenza n. 51/2025) ha riacceso il dibattito sulla risarcibilità del danno non patrimoniale derivante dalla perdita di un animale d’affezione. Questo tema, di crescente interesse giuridico, si inserisce in un contesto di evoluzione non solo sociale, ma anche normativa e giurisprudenziale, che riconosce sempre più il valore affettivo degli animali domestici. L’orientamento tradizionale, che considerava gli animali alla stregua di beni materiali, sta lasciando spazio a una concezione che ne valorizza il ruolo nella vita delle persone.
La vicenda esaminata dal Tribunale di Prato
Il caso riguarda il decesso di un cane affidato temporaneamente a una pensione per animali mentre i proprietari (una coppia con due figli) si trovavano impossibilitati a occuparsene direttamente. Durante il soggiorno, l’animale è stato lasciato pressoché incustodito e privo delle necessarie attenzioni e cure. A seguito di un repentino peggioramento delle sue condizioni di salute, il cane è deceduto e i proprietari ne hanno appreso la notizia solo dopo diversi giorni, tramite la polizia locale.
Le indagini hanno rivelato una situazione allarmante: la pensione in questione presentava gravi carenze igienico-sanitarie, con evidenti segni di trascuratezza e mancata sorveglianza. Nonostante le evidenti condizioni di sofferenza dell’animale, nessun intervento veterinario era stato richiesto per cercare di salvarlo né i proprietari venivano informati di alcunché. Questa negligenza ha avuto conseguenze dirette e irreparabili, portando non solo alla morte del cane, ma anche a un grave turbamento emotivo per i suoi proprietari.
I proprietari hanno quindi agito in giudizio per la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno subito, sostenendo che la perdita del cane costituisse una lesione del diritto inviolabile ai sensi dell’art. 2 della Costituzione alla tutela del rapporto uomo-animale. Il danno patrimoniale è stato quantificato nelle spese sostenute, mentre il danno non patrimoniale è stato richiesto in virtù del legame emotivo tra i proprietari e il cane.
Danno non patrimoniale: l’evoluzione giurisprudenziale
Il dibattito giuridico si sviluppa attorno all’interpretazione dell’art. 2 della Costituzione (che tutela i diritti inviolabili della persona) e alle implicazioni della perdita di un animale per la sfera emotiva e psicologica del proprietario. In questo contesto, il Tribunale di Prato ha riconosciuto un risarcimento ai proprietari per negligenza della pensione canina a cui era stato affidato. Questo rappresenta un passo significativo verso un nuovo orientamento giurisprudenziale, in linea con la crescente attenzione normativa alla tutela degli animali domestici.
La struttura , infatti, ha contestato la risarcibilità del danno non patrimoniale, richiamando l’orientamento delle Sezioni Unite della Cassazione (con le celeberrime Sentenze nn. 26972-26975/2008), affermando così che la perdita di un animale non costituirebbe una lesione giuridicamente rilevante.
Il Tribunale di Prato – richiamando altri precedenti giurisprudenziali di merito (Trib. Pavia, Sent. n. 1266/2016; Trib. Vicenza, Sent. n. 24/2017; Trib. La Spezia, Sent. n. 660/2020) – ha ritenuto di doversi discostare da tale orientamento, affermando che la perdita di un animale d’affezione possa costituire una lesione della sfera affettiva del proprietario, tutelabile ai sensi dell’art. 2 Cost.: il rapporto uomo-animale, secondo questo filone giurisprudenziale, rientra nella sfera degli interessi relazionali della persona e la sua lesione può costituire un pregiudizio giuridicamente risarcibile, purché supportato da elementi probatori concreti.
La quantificazione del risarcimento
Il Tribunale di Prato, nel determinare l’entità del risarcimento per il danno non patrimoniale, ha adottato un approccio basato sulla valutazione concreta del pregiudizio subito dalla famiglia proprietaria dell’animale. Il risarcimento è stato quantificato tenendo conto di diversi elementi, tra cui la durata e l’intensità del legame affettivo tra i proprietari e l’animale deceduto, le circostanze in cui si è verificata la perdita e l’impatto emotivo derivante dall’evento.
Il Tribunale ha considerato particolarmente rilevante il contesto in cui si è verificata la morte dell’animale, attribuendo un peso significativo alla negligenza della struttura di custodia e al turbamento emotivo provocato dalla mancanza di comunicazione tempestiva ai proprietari.
Per quantificare il danno, il Tribunale ha adottato criteri equitativi, tenendo conto dell’età dell’animale, della vita media della razza, della durata del rapporto con la famiglia, dell’età dei suoi componenti e dell’impatto emotivo derivante dalla perdita. Sulla base di questi elementi, il Giudice ha stabilito un risarcimento ricompreso tra € 4.000,00 ed € 6.000,00 per ciascuno dei membri della famiglia.
Conclusioni e prospettive future
La sentenza del Tribunale di Prato rappresenta un ulteriore passo nell’evoluzione della tutela giuridica del rapporto tra l’uomo e gli animali d’affezione. L’orientamento tradizionale, che considerava gli animali alla stregua di beni materiali, sta lasciando spazio a una visione più attenta al loro valore affettivo e relazionale, riconoscendo l’impatto emotivo che la loro perdita può avere sui proprietari.
Questa pronuncia si inserisce in un consolidato filone giurisprudenziale che, in contrasto con l’orientamento più restrittivo espresso dalle Sezioni Unite della Cassazione, ammette la risarcibilità del danno non patrimoniale derivante dalla perdita di un animale domestico. Il riconoscimento di tale pregiudizio, tuttavia, resta subordinato alla dimostrazione di un effettivo legame affettivo e all’accertamento delle circostanze che hanno causato l’evento dannoso.
Alla luce di queste considerazioni, appare evidente che la materia è ancora in piena evoluzione e che la giurisprudenza potrebbe subire ulteriori sviluppi, anche in relazione a futuri interventi normativi volti a disciplinare in modo più organico la tutela degli animali d’affezione e dei loro proprietari. La sentenza in esame, pertanto, non solo rappresenta un precedente significativo, ma apre anche il dibattito su un tema destinato a suscitare crescente attenzione nel panorama giuridico italiano.


